IL CONSIGLIO DELLA MAGISTRATURA MILITARE Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento disciplinare n. 2/97 r.g. nei confronti del dott. Bruno Rocchi, in atto Presidente di sezione del tribunale militare di Roma. La difesa dell'incolpato ha sollevato preliminarmente questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 3 e 4, della legge 30 dicembre 1988, n. 561, per contrasto con gli art. 3, primo comma, e 25, primo comma, della Costituzione, con riferimento alla composizione del consiglio della magistratura militare in sede disciplinare. In proposito ha ricordato che detta questione era gia' stata dichiarata rilevante e non manifestamente infondata dal consiglio con l'ordinanza emessa il 14 ottobre 1997 in altro procedimento disciplinare. Il procuratore generale ha dichiarato di aderire alla richiesta avanzata dalla difesa. La difesa ha dedotto in relazione alla questione sollevata che: al consiglio della magistratura militare, in sede disciplinare, deve riconoscersi natura di organo giurisdizionale cosi' come e' dimostrato dalle funzioni requirenti attribuite al procuratore generale militare presso la Corte di cassazione e dalla esperibilita' del ricorso alle sezioni unite civili della suprema Corte avverso le decisioni consiliari; non essendo prevista per la cognizione degli illeciti disciplinari dei magistrati militari una sezione disciplinare del Consiglio, questo adempie a tale funzione nella sua composizione e, pertanto, con un numero variabile da otto a sei con la conseguenza che risulta violato il principio della precostituzione del giudice nella misura in cui non e' predeterminata dalla legge la composizione del collegio giudicante con un numero fisso e invariabile dei suoi membri come previsto dall'art. 25, primo comma della Costituzione che riserva la capacita' di giudicare soltanto al giudice naturale precostituito per legge. Il Consiglio ritiene di dover condividere nella sostanza l'assunto della difesa, in quanto appare non manifestamente infondata e rilevante la prospettazione che l'attuale normativa, regolatrice del procedimento disciplinare a carico dei magistrati militari, non rispetta il principio della precostituzione per legge del giudice naturale, stante appunto, giova ripeterlo, il riconoscimento della natura giurisdizionale della funzione disciplinare del c.m.m. (sentenza Corte costituzionale n. 71/1995). Al riguardo si tratta solo di confermare l'indirizzo gia' espresso in precedenti ordinanze, per il quale, premesso che in forza dell'art. 1 della legge 30 dicembre 1988, n. 561, viene attribuita al c.m.m. la cognizione degli illeciti disciplinari dei magistrati militari, a tale funzione il c.m.m. adempie nella sua ordinaria composizione (escluso il procuratore generale) in mancanza della previsione di una sezione disciplinare e, pertanto, con un numero di membri variabile da otto a sei. Cio' posto, dal momento che nell'ambito della garanzia della precostituzione del giudice e' difficile affermare che non sia compresa la basilare esigenza della predeterminazione per legge della composizione del collegio giudicante con un numero fisso e invariabile di membri, la questione non appare priva di fondamento. La questione assume particolare rilevanza nel procedimento per il fatto che, nel caso concreto, il Collegio si e' costituito nel numero minimo di sei elementi, dato che per gravi ragioni di convenienza (art. 63, primo comma, c.p.p. del 1930), come tali discrezionalmente valutati dal giudice e dal presidente del collegio, si sono astenuti due membri: l'uno che ha rappresentato la parte civile nel procedimento da cui traggono origine le incolpazioni disciplinari, l'altro che nel medesimo procedimento ha svolto funzioni di g.i.p./g.u.p. E nel Collegio, inoltre, il numero minimo di sei elementi e' stato raggiunto solo perche', altrettanto discrezionalmente, si e' ritenuto che non ricorressero uguali ragioni di astensione per un terzo membro, che nello stesso procedimento ha svolto funzioni di Pubblico Ministero in grado di appello. Resta, pertanto, evidenziato come la costituzione del Collegio disciplinare avvenga all'insegna di una discrezionalita' che deve giudicarsi di assai dubbia compatibilita' con la basilare esigenza garantita dall'art. 25, primo comma della Costituzione, prima indicata. Il consiglio, d'ufficio, ritiene anche di sollevare la questione dello stesso art. 1, legge 30 dicembre 1998, n. 561, nella parte in cui essa non prevede il collocamento fuori ruolo dei magistrati componenti elettivi del c.m.m. Tale illegittimita', ove ritenuta, si comunicherebbe all'art. 2, comma 5, d.P.R. 24 marzo 1989, n. 158, nella parte in cui dispone che i magistrati eletti al consiglio "continuano ad esercitare le funzioni giudiziarie". La questione trae la sua ragion d'essere dalla circostanza che per i componenti elettivi sono molto frequenti, in questo come in altri procedimenti disciplinari, le situazioni di collegamento alle vicende nei cui confronti dovrebbero essere, o almeno apparire, in posizione di terzieta'. Ora, a prescindere dall'esiguita' dell'organico della magistratura militare, proprio dalla permanenza nelle funzioni giudiziarie traggono origine i coinvolgimenti, reali o anche solo apparenti, cui di solito provvedono le norme in tema di incompatibilita', astensione e ricusazione e, pertanto, per questo Consiglio in sede disciplinare gli artt. 61, 64 c.p.p. del 1930. L'esigenza che siano per legge previste adeguate situazioni di incompatibilita', oltre che di astensione e ricusazione, corrisponde ai principi e alle garanzie di indipendenza posti dagli artt. 102 e 108 della Costituzione. Di conseguenza, con questi medesimi parametri appare in contrasto il citato art. 1, primo comma, in quanto non prevede il collocamento fuori ruolo dei membri elettivi del Consiglio. Ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va percio' disposta la immediata trasmisione degli atti alla Corte costituzionale, va ordinata la sospensione del presente procedimento e vanno demandate alla segreteria le notifiche e le comunicazioni di rito.